Con la scoperta della galleria Giralba, nelle Dolomiti bellunesi, riaffiorano un secolo di storia e di ricordi
AURONZO DI CADORE – Per oltre un secolo è rimasta fuori dai taccuini degli storici della prima Grande Guerra, quasi a voler fermare le lancette del tempo per custodirne un segreto fra le cime e le creste delle Dolomiti. Una delle tante testimonianze drammatiche di un pezzo di storia vissuta dai nostri militari dell’epoca, in un periodo atroce che ha seminato vittime per oltre 10milioni di morti. Una frattura nella roccia che nasconde una sorta di cratere che al suo interno rivela l’affascinante coreografia di una galleria scavata nella montagna, un angusto rifugio palificato con il legno dell’epoca, portato fino a quelle altezze, sulle strette cengie, sul dorso dei muli.
Una «fotografia» emblematica della guerra Bianca che si è combattuta sulle Dolomiti fra l’allora impero austro-ungarico, Standschützen (arruolati volontari non regolari) Kaiserjäger e Alpenkorps (truppe tedesche spacializzate) e gli Alpini del Regno d’Italia. Negli inverni eccezionalmente gelidi e nevosi che hanno tenuto in scacco migliaia di valorosi militari dei due fronti, in un estenuante confronto bellico che ha mostrato risorse e debolezze del genere umano, in un contesto reso ostile dalle atrocità di una guerra infame e spregiudicata.
Ragazzi obbligati a diventare uomini in un lasso di tempo brevissimo, al cospetto dei frastuoni delle bombe e dei boati delle valange e delle slavine, che li costringevano ad una vita paurosa e avventurosa fatta di sacrifici e di stenti, vivendo come ragni aggrappati alla roccia per lunghissimi e atroci mesi della loro vita.
È l’ultima scoperta in ordine di tempo quella della galleria nascosta nella roccia in una posizione dominante sulla Forcella Giralba, proprio dove cadeva la linea di confine fra Austria e Italia nel corso del conflitto del 1915-18, fra le Dolomiti bellunesi e le Dolomiti di Sesto, nell’Alta Val Pusteria. «È stato un caso del destino, una ricognizione su una vecchia scorciatoia che ha destato curiosità e ha posato lo sguardo su un buco che si intravedeva nella roccia, coperto da pietre e massi proprio su un costone che domina il panorama stretto fra la Croda dei Toni e il Monte Giralba, in un punto centrale fra la Busa di Dentro e il sentiero che conduce alla Via Normale al Giralba» racconta Bepi Monti, il gestore del rifugio Carducci, incastonato come un francobollo a 2.297 metri sul livello del mare fra il suggestivo anfiteatro delle Dolomiti del Cadore in Alta Val Giralba.
Il racconto è entusiasmante e curioso quanto la sua scoperta ad opera di Alessio Parrinello, cuoco e socio di Monti nella gestione estiva del rifugio Carducci, che raccoglie numerossisimi escursionisti, invogliati dall’ottima ospitalità e soprattutto dai deliziosi canederli alle ortiche che è possibile gustare nell’accogliente saletta attigua alla cucina del caratteristico locale alpino.
«A memoria non vi è traccia di questa galleria, che risale al Primo conflitto mondiale, fra le tante già conosciute e censite nelle guide e nelle pubblicazioni storiche ufficiali – racconta ancora Monti che poi spiega con precisione e novizia di particolari –. È assai probabile che questa postazione italiana doveva rimanera un punto di avvistamento strategico nelle operazioni di guerra che si sono svolte su questo fronte in quegli anni che ha registrato inverni rigidissimi». Eh già, perché la memoria corre veloce alle imprese militari che si sono avvicendate proprio su questi territori di alta montagna, dove il freddo gelido, le valanghe e le slavine, hanno fatto più morti degli stessi fucili e cannoni a difesa dei rispettivi confini.
Nella «nuova» galleria della Forcella Giralba, ancora puntellate e rinforzate con travi di legno dell’epoca, solo uno sgabellino di legno e una portantina per il trasporto di matriale. La Galleria ha tre punti su diversi versanti: quello rivolto a Sud sulla Forcella Giralba, ad Ovest sull’Alta Val Fiscalina e a Nord sulla Busa di Dentro.
Con la neve già caduta copiosa sui valichi e sulle creste della zona, si dovrà aspettare la prossima estate affinché possa essere messa in sicurezza dopo aver attrezzato l’ingresso, così da diventare agibile e aperta finalmente ai curiosi e agli appassionati di trekking d’alta quota.
Fotografie e documenti dei luoghi della memoria
Un ritrovamento che sprona e invoglia gli appassionati di storia della guerra Bianca a consultare libri, documenti e fotografie storiche dell’epoca. Proprio l’epico capitano Giovanni Sala, medaglia d’oro al valore militare per l’assalto al passo della Sentinella il 16 aprile del 1916 con un reparto selezionato di abili, valorosi e indomiti alpini incursori che lui stesso battezzò Mascabroni, rese possibile trasferire alla storia le condizioni in cui operavano e vivevano i nostri alpini grazie ad alcuni reperti fotografici dell’epoca – pubblicati dallo stesso capitano Giovanni Sala nel libro Guerra per Crode del 1933 che scrisse con Antonio Berti, quest’ultimo esperto alpinista e consigliere, durante il conflitto, del generale Augusto Fabbri – grazie ai quali è possibile avere delle preziosissime immagini del villaggio militare di Forcella Giralba nel rigido inverno 1915-16.
Le tracce che si notano sulla neve dalle baracche di legno improvvisate riconducono come un sentiero proprio nella zona in cui è stata ritrovata l’entrata della postazione militare di avvistamento scoperta da Alessio Parrinello, uno dei gestori del Rifugio Carducci. Non vi dubbio, quindi, che proprio gli alpini della 75esima e 68esima compagnia del battaglione Cadore, oltre a 10 uomini del battaglione Fenestrelle, sotto il comando del capitano Sala, siano state le sentinelle a presidio di quella natura magnifica e selvaggia che per alcuni anni è stata ostaggio delle brutalità della guerra.
Il mito dei Mascabroni
Rimestando in quel passato, fatto di storie e di piccole e grandi imprese quotidiane, una foto d’epoca immortala i reduci della Cima Undici e del Passo Sentinella, come dice il cartello che i gloriosi Mascabroni – definizione gergale di un gruppo ben affiatato di Alpini con temperamento spavaldo e strafottente – del capitano Giovanni Sala offrono orgogliosi all’obiettivo di una immagine storica del 1917. Gli uomini rudi, brontoloni e sprezzanti del pericolo – come scriveva il loro capitano Sala – erano contadini, pecorai, manovali e semplici artigiani, che la guerra ha forgiato come lame d’acciaio per affrontare situazioni leggendarie e al limite della resistenza umana.
Quelle dell’epoca erano autentiche imprese sportive che hanno spalancato le porte al moderno alpinismo, e numerose delle attuali Alte vie dolomitiche sono state aperte da quelli che allora erano solo dei ragazzi attrezzati esclusivamente da un immenso senso del dovere e dell’amor di patria. Cresta Zsigmondy, forcella della Teleferica, forcella Da Col, forcella De Poi, forcella 15 (dal numero di uomini che trovavano ricovero nei baraccamenti sulla cengia della Cima 11), canalone Schuster sono i nomi (assieme a tanti altri) che proprio la pattuglia dei Mascabroni hanno dato ai punti strategici delle loro postazioni in quota fra le Dolomiti bellunesi a ridosso del Passo Monte Croce di Comelico e quelle di Sesto.
Molti di questi audaci Alpini incursori sono stati costretti ad improvvisarsi provetti arrampicatori, sfidando la gravità con attrezzature nemmeno lontanamente paragonabili rispetto a quelle commercializzate oggi. Rudi e tenaci, con i volti lividi per il gelo e la pelle bruciata dal freddo implacabile dell’inverno e dal sole che colpiva duro durante l’estate. Le mani rozze e dure non temevano né il freddo né il ghiaccio, e sapevano aderire alla roccia nuda come farebbe una lumaca sulla lama di un rasoio.
Silvio Grandelis uno dei Mascabroni del capitano Sala
Una foto ingiallita di due militari in posa nei primi del Novecento del secolo scorso, ci riconduce ad una traccia, quella di uno dei protagonisti dell’impresa epica dell’assalto al passo della Sentinella ad opera dei Mascabroni del capitano Sala e del suo braccio destro, l’alpino Italo Lunelli, irredentista nato a Trento (allora territorio dell’impero austro-ungarico), abile alpinista che allo scoppio della guerra era in servizio come aspirante-ufficiale presso il deposito del 7° Alpini a Belluno, e che per ragioni di sicurezza venne arruolato come volontario con il nome (falso e di copertura) di Raffaele Da Basso. «Sono due fratelli immortalati qualche settimana dopo la conquista del passo della Sentinella – racconta Francesco Grandelis, un ragazzo che vive a Comelico, che ama la montagna e lo sport all’aria aperta – il militare sulla destra della foto è Silvio Grandelis, il mio bisnonno, che posa al fianco di suo fratello, che ha prestato servizio negli Scalabroni del capitano Sala».
Era nato il 25 dicembre del 1889 a Campolongo, una frazione del comune di Santo Stefano di Cadore. All’epoca Silvio Grandelis, che faceva il bracciante agricolo, doveva avere non più di 27 anni e venne arruolato negli Alpini. Come molti suoi commilitoni era un profondo conoscitore di quelle zone e di quelle montagne che a lungo sono state le loro case e i loro rifugi improvvisati contro una guerra spietata, soprattutto nei confrondi della severa legge della natura, che troppo spesso mieteva più morti che il conflitto stesso.
«Dai racconti che mi sono stati tramandati da mio nonno, il capitano Sala assegnò al mio bisnonno, Silvio Grandelis appunto, numerosi servizi di sentinella nelle postazioni strategiche, oltre ad aver partecipato alla conquista del Passo della Sentinella». Poi continua la sua narrazione: «Il capitano Sala assegnò un servizio di sentinella al mio bisnonno Silvio Grandelis dove c’era anche il tenente De Zolt (che nel 1915 occupò la Cresta Zsigmondy). Rimasero isolati per molti giorni, e tutti credevano fossero morti. Quando il capitano Sala li rivide rientrare al campo base fu sorpreso e mio nonno ribattè dicendo “se ci date un altro fiasco d’anice siamo disposti a tornare su un’altra settimana”».
È probabile che proprio Silvio Grandelis, uno degli alpini agli ordini del capitano Sala, occupò la galleria scoperta sulla Forcella Giralba a ridosso dell’autunno scorso per uno dei tanti ed estenuanti turni di guardia fino al novembre del 1917, quando tutte le postazioni furono smobilitate per fronteggiare la difesa della Valle dell’Isonzo, nei pressi di Caporetto.
La conquista del passo della Sentinella
Quella del passo della Sentinella del 16 aprile 1916 è senza dubbio l’azione militare della guerra Bianca fra le più popolari del Primo conflitto mondiale. L’assalto fu premeditato a lungo, studiato nei minimi particolari dai nostri alpini a difesa del fronte italiano. Era indispensabile conquistare un punto strategico come il passo della Sentinella, che controllava una buona parte della valle sottostante nella direzione della val Padola, Comelico fino a Dosoledo e del passo Monte Croce, fondamentale via di collegamento per le truppe italiane. Le incessanti nevicate di quell’inverno del 1916 resero ancora più arduo il compito dei soldati italiani, che dovettero penare non poco per conquistare e attrezzare le postazioni nevralgiche per l’attacco finale.
Arditi sopralluoghi fra le cime circostanti diventavano indispensabili per pianificare l’assalto che, proprio per l’effetto sorpresa, avrebbe trovato il successo nei confronti del nemico. Fra i primi obiettivi c’èra quello di occupare la Cima Undici, missione compiuta dagli Alpini della 75esima e 68esima compagnia del battaglione Cadore, oltre a 10 uomini del Fenestrelle. Il capitano Giovanni Sala aveva la necessità di selezionare un gruppo affiatato fra i migliori uomini dei battaglioni a disposizione da destinare ad un’impresa ardita, formare degli incursori della montagna con determinate capacità atletiche in grado di fronteggiare e superare ogni ostacolo. Fu l’allora sottotenente Giovanni Lorenzoni che fece il nome di una figura adatta a gestire e condurre un’impresa di simile portata, facendo il nome di Italo Lunelli, già conosciuto come abile alpinista e profondo conoscitore delle Dolomiti.
Da lì a breve, Italo Lunelli, che per moitivi di sicurezza, nel caso fosse caduto nelle mani del nemico, avrebbe adottato il nome di un arruolato volontario, tale Raffaele Da Basso, organizzò un suo reparto di scalatori incursori sotto il comando del capitano Giovanni Sala.
Per il piano d’assalto del capitano Sala diventava indispensabile formare due reparti di uomini per l’assedio alla postazione che divide la Val Fiscalina (versante austriaco) con la Val Popera e passo Monte Croce: il primo, con i «Mascabroni» sarebbe sceso dalla Cima Undici attraverso canaloni ghiacciati a strapiombo, sorprendendo il nemico che considerava quelle vie inaccessibili; il secondo, dall’altro versante del passo della Sentinella, quello sul versante nord della Croda Rossa, doveva impiegare un reparto di esperti rocciatori guidato da Italo Lunelli, che avrebbero dovuto prima verificare l’esistenza di eventuali postazioni austriache per poi preparasri all’assalto offensivo.
L’obiettivo era prendere come in una morsa il passo della Sentinella e per questo l’attacco doveva essere pianificato in più punti con un tempismo e una strategia da manuali. Furono costruiti dei baraccamenti per gli uomini che avrebbero dovuto presiliare le postazioni limitrofe, su per canaloni a strapiombo e forcelle. Bisognava sfruttare ogni cengia naturale per allestire ricoveri con autentici trespoli di legno rivestiti alla meglio, utili al ricovero dei Mascabroni a quote che sfioravano le nuvole confondendosi con la fitta coltre nevosa, in attesa del giorno più proficuo all’attacco finale.
Per questo gli uomini dovevano lavorare duro e spesso nelle ore notturne per non allertare il nemico. Bisognava assicurare alla roccia, che in molti punti era friabile e instabile, scale di corda; attrezzare le vie con funi di sicurezza e, soprattutto, trasportare viveri, attrezzatura, armi e munizioni per rendere autosufficiente ogni postazione. Una impresa senza precedenti e assolutamente unica per quei tempi. La logistica avrebbe avuto un ruolo fondamentale, quindi dal gennaio del 1916, neve e gelo permettendo, gli uomini del capitano Sala dovevano pensare al collegamento di ogni postazione, stendendo linee telefoniche per consentire la comunicazione fra Creston Popera e Cima Undici, di cui furono esecutori materiali gli sciatori del battaglione Fenestrelle. Una stazione eliografica, e cioè un telegrafo senza fili che utilizza segnali in codice morse utilizzando lampi che si ottengono ruotando momentaneamente lo specchio o interrompendo il fascio di luce con un otturatore.
Due squadre di indomiti eroi giù per le voragini bianche
Dopo una preparazione capillare durata mesi, il punto più alto e strategico della Val Popera, il passo della Sentinella appunto, fu espugnato dagli italiani nella tarda mattinata del 16 aprile del 1916. L’attacco venne concertato su tre direzioni: dall’alto della Cima Undici, dal versante nord in prossimità del Pianoro del Dito e dal Vallone Popera.
Il primo gruppo che diede inizio all’azione in giorno precedente, in piena notte, furono gli uomini del Reparto Scalatori guidato da Raffaele Da Basso, alias Italo Lunelli. Avevano il compito di occupare il Pianoro del Dito, che sovrastava il passo della Sentinella dal versante Nord della Croda Rossa, salendo per il Creston Popera. Si trattava di un obiettivo delicato perché nessuno poteva sapere se quelle zone, a ridosso delle postazioni occupate stabilmente dal nemico, avrebbero consentito di portare a termine la missione coordinata.
Solo quando il reparto di Lunelli aveva raggiunto l’obiettivo potevano entrare in scena i Mascabroni. Dalle postazioni della Cima Unidici dovevano calarsi negli abissi ghiacciati dei canaloni potendo contare solo su delle funi che erano state assicurate alla sommità delle forcelle divenute famose dai nomi degli Alpini che per primi vi si cimentarono: Da Col e Dal Canton. Ci voleva abilità e una buona dose di incoscienza per gli uomini che il capitano sala considerava brontoloni ma tenaci e pronti a tutto.
I Mascabroni erano divisi in due scquadre: una sotto il comando del sottotente Mario De Poi, la seconda guidata dal sottotente Enrico Jannetta, nella quale figura anche il soldato Silvio Grandelis, di cui suo pronipote Francesco Grandelis conserva ancora una fotografia in uniforme e tanti ricordi tramandati da padre in figlio.
I rinforzi, invece dovevano arrivare dalla valle per offrire sostegno e consistenza all’attacco: dal vallon Propera con il plotone comandato dal sottotenente di fanteria Ettore Martini.
L’impresa fu un successo senza precedenti e un motivo di grande orgoglio per i nostri militari che seppero offrire prova di abnegazione e di superiotità tecnica e strategica, oltre che di doti atletiche ed alpinistiche fino ad allora ritenute impossibili per quelle condizioni così estreme. Al punto che lasciarono impotenti i militari del fronte opposto, che dovettero arrendersi in maniera incondizionata.
Il turismo alpino attraverso la storia e la memoria del luoghi della guerra
Il famoso «Bivacco ai Mascabroni», meta di appassionati di alta montagna, che sorge proprio sui resti della baracca che ospitò le truppe all’epoca, sulla cengia che sorge alla base dei torrioni di Cima Undici, chiamata «la Mènsola», è una sorta di monumento al coraggio di una generazione di valorosi combattenti per la Patria, che vive tutt’oggi grazie alla passione e agli sforzi di persone come Piero e Paolo Carta, e di altri stretti collaboratori che sin dagli inizi degli anni Sessanta decisero di costruire e installare un bivacco a testimonianza di quei luoghi impervi e isolati, custodi di un dramma fatto anche di emozioni e di storie di umana fratellanza, che ultimarono nell’ottobre del 1967. Andrea Carta, figlio di Piero Carta che assieme a suo fratello Paolo costruirono il «Bivacco Mascabroni» è il custode di esperienze alpinistiche di grande interesse storico e culturale di quei luoghi della memoria. È l’artefice di libri e documentari audiovisivi di pregiato interesse.
Per chi ama la montagna è possibile risalire per sentieri attrezzati, attraverso intinerari che il tempo non ha mutato. Servirsi di una guida alpina esperta dei luoghi è auspicabile per coloro che desiderano muoversi in sicurezza, valutando bene le proprie capacità fisiche e la propria attrezzatura. Rifugi e punti di appoggio diventano indispensabili per pianificare una gita in questi luoghi.
Massimo Manfregola – giornalista
Credits: Le foto relative alla nuova Galleria della Forcella Giralba sono di Bepi Monti; Francesco Grandelis per le foto d’epoca del suo bisnonno Silvio Grandelis; Archivio Storico Militare nazionale; Alcune immagini sono di Antonio Berti e Giovanni Sala, del libro «Guerra in Croda» – Cedam 1933. Foto del capitano Giovanni Sala, tratte dal libro «All’Ombra delle Tre Cime» di Walter Musizza, Giovanni De Donà e Giuseppe Tezze. Ci riserviamo di aggiungere, alle immagini di cui non è stato possibile intercettiare l’autore/possessore, il preciso riferimento fotografico.
30/11/2017
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