L’Italia è nel mirino dei terroristi dell’Isis: minacce anche dagli jihadisti di Boko Haram

feb 25, 2015 No Comments by

ROMA – Non c’è tregua nello specchio di Mediterraneo che si affaccia sulla Libia. Oggi le minacce nei confronti dell’Italia arrivano pure dagli jihadisti di Boko Haram, l’altro stato islamico del Centro Africa nigeriano ora guidato da Abubakar Shekau, dal nome della spietata milizia armata che incarna l’inquietante significato: “l’educazione occidentale è peccato”.

La minaccia viene da un video nel quale Abubakar Shekau annuncia morte e distruzione anche nei confronti del nostro paese, in una lista che vede in testa Stati Uniti e Francia, oltre che Germania e Russia.

Insomma l’Italia, testa di ponte fra Oriente e Occidente e approdo incondizionato delle migliaia di migranti africani che fuggono dal dissesto geopolitico di paesi che sono al centro di guerre, carestie e regimi persecutori, sembra non in grado di gestire una situazione che diventa giorno per giorno sempre più critica.

La minaccia dell’Isis

Dalla Libia arrivano invece le minacce del califfo Abu Bakr al-Baghdad, guida profetica degli estremisti dell’Isis o Isil (da Islamic State of Iraq and the Levant), che seminano terrore sul web con una improbabile campagna terroristica in cui una bandiera nera del fronte armato jihadista sventola sulla sommità del Colosseo messo a ferro e fuoco in una città spettrale.

Il califfo Abu Bakr al-Baghdad

Il califfo Abu Bakr al-Baghdad

Ed è infatti la crisi libica quella più grave di tutto il Nord Africa: dalla caduta del regime di Gheddafi, il paese è sprofondato in una crisi politica dalla quale non si è più risollevato, dando luogo ad una serie di focolai che indeboliscono ulteriormente lo stato di criticità in cui versa l’intera regione. A differenza di quello che si è portati a pensare, il motivo di tanta insurrezione non è lo scontro sul terreno fra forze islamiste radicali e quelle laiche e democratiche, bensì tra milizie riconducibili ad entità tribali di origine contadine, alla disperata ricerca di un’affermazione politica locale che consenta l’istituzionalizzazione del territorio.

L’appello del capo del governo libico

È di queste ore l’appello di Abdullah Al Thani, premier del governo di Tobruk, secondo cui un mancato intervento delle Nazioni Unite metterebbe definitivamente in serio pericolo il tentativo di ripristinare la democrazia in Libia e quindi la minaccia che gli jihadisti potrebbero occupare tutto il paese è reale. Anche Ali Nayed, ambasciatore libico presso gli Emirati Arabi Uniti e consigliere del capo del governo libico Abdullah Al Thani, tempo fa aveva messo in guardia l’Occidente sull’avanzata delle milizie di Abu Bakr al-Baghdad, dopo che queste avevano messo piede in Libia nella città di Derna, controllando di fatto ben sette centri urbani, organizzandosi così per altre operazioni militari contro altri centri abitati.

il premier del governo libico, Abdullah Al Thani_libia

il premier del governo libico, Abdullah Al Thani libia

A metà febbraio nel bel mezzo della notte, i miliziani jihadisti hanno preso d’assalto Sirte, facendo del loro quartier generale un edificio nel centro della città, occupando le sedi di radio ed emittenti locali, per renderle operative al fine della propaganda contro l’Occidente e gli infedeli alla religione islamica. La città di Sirte pullula di frange estremiste e di ribelli che si sono schierati contro contro l’attuale governo riconosciuto dalla Comunità internazionale come Ansar al Shariya (partigiani della legge islamica) e le milizie di Fajr Libia che contribuioscono a rendere la situazione ancora più critica, anche se a loro volta combattono contro i militanti di Abu Bakr al-Baghdad.

Usa, Regno Unito e Unione Europea si sono rifiutate di armare l’esercito libico per contrastare l’avanzata dell’Isis. Una reazione che ha provocato l’interruzione dei rapporti diplomatici fra Abdullah Al Thani e la Comunità internazionale. Un atteggiamento, quello della Ue e Stati Uniti, apparso fin troppo silenzioso o quasi indifferente anche nei confronti delle minacce dirette degli estremisti islamici contro il nostro paese.

Uccisa a Tripoli l’attivista libica

È trapelata oggi la notizia dell’uccisione di Intissar Al Hasaari, la 35 enne attivista libica per i diritti umani che aveva fondato l’Enlightenment Group e protagonista di numerose campagne contro le milizie armate della capitale, è stata colpita l’altra notte a bordo della sua automobile nel corso di un agguato.

L'attivista libica Intissar Al Hasaari

L’attivista libica Intissar Al Hasaari

I gruppi jihadisti

Gli uomini di Ansar al Shariya sono molto attivi anche a Derna e a Bengasi, dove sono accusati della paternità dell’attentato al consolato americano in pieno centro nel 2012, nel quale rimase ucciso l’ex-ambasciatore Usa Chris Stevens. Il loro leader sarebbe Sufyan Ben Qumu, ex-detenuto prima nel carcere di massima sicurezza di Guantanamo, poi in una progione libica. Ma nella capitale del califfato islamico libico sono operativi anche l’esercito dei mujaheddin, la brigata Rafallah al Sahati e la brigata dei Martiri del 17 febbraio.

Altri due gruppi della grande galassia qaedista, che operano in Libia (nella penisola cirenaica e nel Fezzan), sono l’Aqmi e quello dell’El-Muwaqiin Bi Dam (coloro che firmano con il sangue), quest’ultimo guidato da Mokhtar Belmokhtar, mente dell’attacco del 2013 all’impianto di di estrazione del gas di Tigantourine nelle vicinanze di In Amenas, in Algeria, dove trovarono la morte circa 50 persone.

Sufyan Ben Qumu

Sufyan Ben Qumu

Un mujaheddin e la testa di un soldato governativo dell'esercito sovietico ©Francesco_Cito

Un mujaheddin e la testa di un soldato governativo dell’esercito sovietico ©Francesco Cito

L’arruolamento dei foreign fighters

Sebbene siano presenti sul territorio libico formazioni di chiara estrazione jihadista, il loro numero non è tale da rappresentare una minaccia per la trasformazione del paese così com’è avvenuto in Siria. Quello che invece preoccupa quale pericolo di una radicalizzazione nella regione libica, è il fenomeno dei foreign fighters, ossia coloro che nel nome dell’Islam partono, si arruolano e combattono per la Jihad, la guerra santa, secondo una radicalizzazione che ha come obiettivo quello di far cadere governi ritenuti non islamici o di stile occidentale.

Lo scenario libico vede dunque contrapposti due blocchi distinti fra loro, ma entrambi si contendono il territorio e il riconoscimento dell’autorità di governo. Il primo facente capo all’insieme delle milizie che rappresenta la forza combattente dell’area tripolitana, mentre il secondo a quelle dell’area cirenaica che occupa tutto il territorio orientale libico, in particolare quella penisola che sporge nel Mediterraneo tra il Golfo della Sirte e il Golfo di Bomba.

Nella crisi libica si inserisce anche la forza destabilizzante dell’Egitto, che assieme con gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita condivide l’obiettivo di annientare la Fratellanza Musulmana della regione.

Massimo Manfregola

25/02/2015

Twitter: masman007

Credits: CeMiSS

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Cronaca, Dossier, Primo Piano, War Games

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Massimo Manfregola è un giornalista con esperienze nel campo della comunicazione della carta stampata e della televisione. È specializzato nei settori del giornalismo motoristico, con una particolare passione per l’approfondimento di tematiche legate all’arte e alle politiche sociali.
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