Anche le marmitte nel mirino dei ladri e il riciclaggio dei metalli diventa un business milionario
ROMA – Se lo scandalo delle centraline tarcoccate della Volkswagen tiene con il fiato sospeso l’intero mercato dell’auto, quello sul riciclaggio e sullo smaltimento delle marmitte catalitiche esauste potrebbe generare un terremoto a livello politico ed industriale in grado di demolire i piani alti di molte organizzazioni che operano nel settore.
Le mani sporche del malaffare si muovono veloci per adeguarsi a quelle che sono le nuove opportunità del mercato. E la rottamazione di materiali metallici, disciplinata da una normativa europea che prevede appositi protocolli di recupero e stoccaggio, rappresenta per le ecomafie una sfida che vale la pena affrontare per trarne profitti illegali.
Oltre al ferro, all’acciaio, al bronzo e all’alluminio, quello che fa più gola al mercato sono alcuni metalli preziosi come rame, zinco, rodio, platino e palladio, quest’ultimi presenti soprattutto nelle marmitte catalitiche dismesse che equipaggiano le autovetture dell’ultima generazione.
Una filiera contorta e molto spesso illegale, quella sul recupero e lo smaltimento delle carcasse e delle componenti delle marmitte catalitiche e componenti elettroniche, che parte, spesso inconsapevolmente, proprio dalle officine meccaniche e imprese artigiane che quotidianamente «producono» una quantità enorme di materiale di scarto e rifiuti anche di tipo metallico. Un giro d’affari molto spesso illegale che alimenta la filiera industriale prima dei rottamatori e dei commercianti di metalli; successivamente quella delle fonderie e dei prodotti semilavorati che che poi vengono convertiti ed inseriti in quella lunga catena dell’idustria automobilistica, fatta da migliaia di competitor che lavorano nell’indotto dei grandi brand del settore.
Un giro d’affari miliardario, eseguito in gran parte in difformità con quelle che sono le regole e le leggi vigenti per la tutela ambientale oltre che per la mancata tracciabilità di molti rottami metallici di provenienza furtiva. L’Airmet (l’Associazione italiana recuperatori metalli) nelle sue ultime stime ha registrato che, su scala nazionale, su un totale di circa 20milioni di tonnellate di materiali recuperati in un anno, quasi 6 milioni (vale a dire 1/3 della percentuale) sono il provento della raccolta ambulante. Solo nelle Capitale esisteterebbero circa 2000 furgoni irregolari, condotti nella quasi totalità da rom, che quotidianamente rastrellano strade, discariche, officine meccaniche e artigiane per la raccolta di metalli di ogni genere. Il guadagno medio «pulito» per questi operatori «fai da te» si aggira dalle 250 alle 400 euro giornaliere.
Relativamente alla raccolta ambulante di materiali ferrosi, spesso «guidata» e organizzata da organizzazioni malavitose, l’Airmet, l’Associazione italiana dei recuperatori di metalli che comprende un certo numero di aziende affiliate specializzate del settore, una volta interpellata, ci ha risposto che non in grado di stabilire un «identikit» delle organizzazioni o dei soggetti che operano nell’ombra per tenere in piedi una filiera parallaela a quella legale, fatta di manovalanza a buon mercato, di ricettatori specializzati e di alcune fonderie – anche oltreconfine – che allargano il loro giro d’affari attraverso torbidi compromessi commerciali.
Spesso dietro ai roghi tossici degli pneumatici, appiccati nelle zone periferiche delle città, esiste un vero e proprio commercio illegale che, oltre ad inquinare le falde acquifere sotterranee e l’aria, permette ad una moltitudine di abusivi di recuperare le carcasse di acciaio che compongono la struttura degli peneumatici ormai dismessi e usurati per poi immetterli nel commercio abusivo della rottamazione dei metalli.
Una inchiesta del quotidiano «Il tempo» ha stimato che, solo a Roma, partendo da una raccolta media (illegale) giornaliera di 40mila chili di materiali ferrosi, si evade il fisco locale per circa 14 milioni di euro l’anno. Una perdita di denaro pubblico che ricade negativamente sulle tasse dei contribuenti i quali, oltre al pericolo di inalazioni tossiche e al degrado urbano, sono costretti a vivere sotto la minaccia di bande di criminali – in gran parte nomadi e pregiudicati dell’est europeo, secondo le stime delle Forze dell’ordine – che lucrano ad ogni angolo delle nostre città.
In un Paese dove la burocrazia è strisciante per il solo fine di fare cassa in un contesto di sprechi e di ingiustizia sociale sempre più generalizzata, è assai prevedibile che sia più facile e conveniente per un piccolo artigiano – per quanto assurdo – affidarsi ad un raccoglitore di rottami abusivo che svolge il suo «lavoro» a titolo gratuito o per qualche decina di euro, invece che passare attraverso le costose «grinfie» dello smaltimento autorizzato, farcito come un panettone di limiti, clausole e certificazioni che non agevolano il compito di coloro costretti a gestire i loro affari all’ombra di un fantomatico socio occulto; esigente, inaffidabile e inadeguato, come il fisco italiano. È dunque una questione politica che andrebbe affrontata con provvedimenti razionali evitando quelle claustofobiche e ideologiche legislazioni di respiro europeo che non tengono conto del diverso impatto sul territorio nazionale.
La «corsa» al rame e ai suoi traffici illeciti
Per non parlare dei furti del rame sottratti dalla rete elettrificata ferroviaria. Nel 2011 sono sparire dalla rete ferroviaria nazionale circa mille tonnellate di rame, una media giornaliera di 3.200 chilogrammi, pari ad una perdita di circa 20milioni di euro. Un danno che si aggiunge ai notevoli disagi per i viaggiatori, al costo del biglietto e agli investimenti di ammodernamento. Ma oltre ai furti alla rete ferroviaria ci sono quelli ai cavi elettrici dell’Enel e a quelli delle linee di Telecom.
I ricavi illegali di quello che viene ormai definito «oro rosso» sono miliardari: un chilogrammo di rame sul mercato nero può valere dai 6 ai 7,5 euro. La richiesta di rame è molto forte soprattutto da parte dei nuovi mercati emergenti di potenze economiche come Cina e Brasile, che lo utilizza prevalentemente per la costruzione di componenti elettroniche. Nel 2007 nei porti di Gioia Tauro e Napoli sono stati sequestrati più di 20 container di rame rubato dalle ferrovie italiane. Più recentemente, precisamente nel luglio del 2012, la polfer di Portogruaro ha sequestrato un carico di 8mila e 150 chili di rame semilavorato per un valore di 50mila euro. Sempre in Veneto, nello stesso anno, la polizia stradale di Portogruaro aveva bloccato due romeni che trasportavano nella loro autovettura (con tagliando assicurativo contraffatto) ben 15 quintali di rame rubato. In Abruzzo, nell’agosto scorso, i carabinieri di Pescara hanno sequestrato una partita di rame di un’azienda nei pressi di Ripa Teatina, stroncando così una traffico di affari illeciti di circa 100mila euro. E la lista nera potrebbe continuare all’infinito se provassimo ad elencare anche furti e sequestri di quantitativi più modesti.
Attenti al furto della vostra marmitta
Da qualche tempo sono finite nel mirino della delinquenza organizzata anche le marmitte catalitiche delle autovetture di ultima generazione (Euro 4 ed Euro 5). Perché l’involucro ceramico che si trova all’interno delle marmitte «nasconde» metalli preziosi come rodio, platino e palladio. Si trovano soprattutto nelle marmitte catalitiche che adottano un sistema di filtro antiparticolato di tipo Dpf (Diesel Particulate Filter). Infatti, nel supporto poroso a cellule attraverso il quale i gas di scarico attraversano il condotto in modo forzato, si trova una sorta di agglomerato poroso che riveste le cellule chiamato «wash-coat» sulla cui superficie sono incorporati una miriade di particelle composte da metalli preziosi che hanno il compito di facilitare l’innalzamento delle temperature per favorire il processo di rigenerazione del gas.
Questi metalli sono presenti nelle marmitte, perché fungono da catalizzatori, rendendo più veloce la reazione con i reagenti. I metalli preziosi come il palladio (Pd) o il platino (Pt) ad esempio, permettono di legare la molecola biatomica di idrogeno (H2) e di cedere uno alla volta i due atomi. La marmitta catalitica è quindi in grado di eliminare molecole tossiche o inquinanti che si formano dalla combustione del carburante contenuto nel serbatoio, come il monossido di carbonio (CO) e gli ossidi dell’azoto (NOx). Inoltre viene completato il consumo degli idrocarburi non totalamente degradati durante la combustione.
I catalizzatori metallici funzionano in genere sotto forma di polvere finissima o spugnosa, una sorta di spugna in modo che aumenti enormemente la superficie di contatto con le particelle in reazione. Oltre a ciò si hanno fenomeni di «occlusione» delle particelle che si vuol far reagire; esse, imprigionate in uno spazio estremamente ristretto, sono, per così dire, costrette a incontrarsi e per di più, così stipate, si deformano, il che comporta un allentamento dei legami e la disponibilità a formarne nuovi. Si realizza così una re-distribuzione degli atomi, che è l’essenza di una reazione chimica.
In dfefinitiva la presenza di questi metalli preziosi possono ridurre di molto la loro capacità di catalizzare reazioni se sostanze particolari si depositano sulla loro superficie, disattivandone le proprietà.
Motivo per cui, da parte dei ricettatori di marmitte catalitiche, si è aperta una curiosa quanto spietata caccia all’auto con la marmitta più «preziosa». Le vetture più «vulnerabili» sono diventate i Suv, che per la loro altezza da terra, sono le prede più facili per i ladri di marmitte. Il riciclaggio delle marmitte con queste caratteristiche rende bene sul mercato nero: anche 100 euro per pezzo. Se consideriamo che un solo grammo di platino vale più di 40 euro, il rodio 36 e il palladio 16 euro al grammo, possiamo capire quanto interesse ci possa essere da parte delle mafie e del malaffare nella gestione di questi traffici.
Massimo Manfregola
18/11/2015
credits: www.oilproject.org – Airmet
Twitter: #masman007
Follow us on: https://www.facebook.com/MasmanCommunication
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli correlati:
https://www.masman.com/communications/golf-ea-189-euro5-manfregola-dieselgate-volkswagen/?lang=it