Le comete non sono più un mistero per la missione Rosetta
ROMA – La missione Rosetta ha raggiunto la sua cometa dopo ben dieci anni di ammiccamenti e avvicinamenti. Insomma il risultato compiuto da Rosetta, la missione Cornerstone del programma ESA Horizon 2000 dedicata all’esplorazione dei corpi minori del Sistema Solare, è un successo spaziale nel vero senso del termine, che riempie d’orgoglio quanti hanno lavorato pazientemente ad un progetto pensato vent’anni fa e di cui l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) vanta un ruolo di primissimo livello. Roberto Battiston, presidente dell’ASI, ha voluto battezzare questa impresa come «Un piccolo balzo per un robot, ma un grande salto in avanti per tutta l’umanità», richiamando alla memoria la celebre affermazione di Neil Armstrong quando il 20 luglio del 1969 mise piede sulla Luna.
Alle 17:03, ora italiana, del 12 novembre 2014, data che sarà ricordata alla stregua dello sbarco sulla Luna, il centro di controllo ESA-ESOC di Darmstadt ha reso noto che il lander Philae – rilasciato dalla sonda sette ore prima – è atterrato sul nucleo della cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko, segnando un primato senza precedenti nella storia dell’esplorazione spaziale.
Il principale obiettivo scientifico della missione è la comprensione dell’origine delle comete e delle relazioni tra la loro composizione e la materia interstellare quali elementi fondamentali per potere risalire alle origini del Sistema Solare. La ricerca di materiali inalterati si ottiene tramite l’esplorazione cometaria poiché le zone esterne del Sistema Solare contengono materiale ricco di sostanze volatili che non è stato processato nelle zone interne caratterizzate da alte temperature.
Quello della missione europea ESA-ESOC di Darmstadt, che coinvolge al suo interno venti nazioni, incarna un pezzo d’Italia. Infatti, dei 21 strumenti a bordo su Rosetta e il lander Philae, ben quattro sono sotto la responsabilità italiana. Si tratta di VIRTIS (Visual InfraRed and Thermal Imaging Spectrometer) il cui responsabile scientifico è Fabrizio Capaccioni dell’Istituto di Planetologia e Astrofisica Spaziale dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Iaps-Infn), GIADA (Grain Impact Analyser and Dust Accumulator) con Alessandra Rotundi dell’Università “Parthenope” di Napoli e la WAC (Wide Angle Camera) con Cesare Barbieri dell’Università di Padova. A bordo del lander è italiano il sistema di acquisizione e distribuzione dei campioni (Sd2), realizzato da Selex Es sotto la responsabilità scientifica di Amalia Ercoli Finzi del Politecnico di Milano, ed il sottosistema dei pannelli solari, con il Politecnico di Milano.
«Il nostro compito – ha specificato la professoressa Amalia Ercoli-Finzi – è raccogliere i campioni, quindi con una velocità bassissima, impiegheremo circa una paio d’ore per raggiungere il suolo cometario, dobbiamo raccogliere i campioni, portarli al livello del suolo da una profondità di 20 centimetri e poi consegnarli ai vari fornetti dove verranno scaldati e i vari strumenti potranno leggere la composizione».
A bordo del lander di Rosetta sono presenti i seguenti sistemi italiani:
SD2 – Sample Drill&Distribution: SD2 rappresenta un elemento di elevata miniaturizzazione, condensando in appena 4Kg tecnologie ad altissime prestazioni. SD2 è in grado di resistere alle condizioni ambientali proibitive in cui si troverà ad operare mentre cercherà di penetrare il nucleo della cometa sino a 20 cm di profondità. Un meccanismo sofisticato consentirà di distribuire i campioni prelevati (diametro di circa 2,5mm) in appositi contenitori in modo da rendere possibile lo studio delle proprietà mediante alcuni degli strumenti a bordo del lander. Il funzionamento del sistema SD2 è regolato da un software sofisticato, installato nel computer di bordo del lander.
Un altro elemento “made in Italy” è il Solar Array costituito da celle solari ad alta efficienza in grado di garantire la potenza elettrica necessaria anche a distanze dal Sole superiori a 2 AU.
mas.man.
Le informazioni sono tratte dal sito www.asi.it
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