Malattie rare, la diagnosi può arrivare anche dopo molti anni. La cura con le immunoglobuline
ROMA – È un confine invisibile, e spesso invalicabile, quello costituito dalle malattie rare nei confronti delle cure sanitarie. Questa mattina se n’è parlato in occasione di un ricco ed interessante incontro riservato ai giornalisti, organizzato dalla AdnKronos presso il Palazzo dell’Informazione di Piazza Mastai a Roma.
Si sono avvicendati attorno al qualificato tavolo dei relatori presenti, coadiuvati da Margherita Lopes, giornalista di AdnKronos Salute, medici e specialisti della comunicazione che operano attivamente nel settore della medicina e delle patologie rare, approfondendo l’argomento sulle criticità e sui risvolti legati alle immunodeficienze primitive, che in pratica sono malattie congenite causate da alterazioni del sistema immunitario che rendono l’organismo molto vulnerabile alle infezioni.
Un argomento che, proprio per la sua complessità, necessita di una valutazione molto più approfondita che travalica gli schemi tipici della medicina convenzionale intesi come il classico approccio fra diagnosi e la cura del paziente. Infatti, molto spesso possono passare decenni prima che la persona affetta da queste patologie possa arrivare ad una diagnosi precisa della sua malattia (su una ricerca condotta su 5 mila pazienti il 25 per cento può aspettare anche fino a 30 anni prima di ricevere una diagnosi concreta), perché nel 40 per cento dei casi si rilevano valutazioni mediche errate nell’individuazione delle malattie definite rare, secondo un protocollo europeo che le definisce tali quando colpiscono non più di cinque pazienti su 10 mila abitanti. Sono state scoperte fino ad ora circa 300 forme di immunodeficienza, in cui il sistema immunitario perde del tutto o in parte la capacità di contrastare la malattia, di cui 75 solo negli ultimi cinque anni. Si presume che il 70 e 90 per cento degli individui affetti da una immunodeficienza primitiva non riesce ad avere una diagnosi corretta in tempi accettabili. E il danno degli organi, colpiti dalla malattia e quindi dalle infezioni, diventa irreversibile.
«Da una recente statistica sarebbero circa 350 milioni le persone nel mondo affette da malattie rare – spiega il professor Carlo Agostini, ordinario di medicina interna all’Università di Padova, che poi continua – . A livello globale si stima che circa 6 milioni di persone vivono con una forma di immunodeficienza primitiva e che circa un individuo su 1200 abbia una delle 300 forme di immunodeficienza primitiva, vale a dire affetti da malattie rare il cui sistema immunitario presenta dei difetti funzionali o quantitativi degli elementi cellulari o proteici che intervengono nei meccanismi di controllo delle infezioni e della crescita neoplastica». Nello scenario delle malattie rare esistono le cosiddétte malattie “orfane” che, pur essendo diffuse non dispongono di terapie specifiche o di un farmaco per la loro cura.
Può capitare che si giunga alla diagnosi di una malattia rara solo dopo aver prestato attenzione e approfondito le cause di una bronchite polmonare (BPCO) di un fumatore i cui sintomi vengono spesso associati ad una normalità fisiologica del paziente e quindi sottovalutati. Esistono malattie rare autoimmuni sistemiche come il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) il cui sistema immunitario con anticorpi «deviati» che aggrediscono le strutture sane dell’organismo e determinano la malattia. L’infiammazione è cronica e può colpire qualsiasi tessuto od organo: è anzi la regola che nel singolo paziente siano più d’uno gli organi colpiti, tanto da meritare alla malattia l’aggettivo «sistemico».
Le manifestazioni principali sono legate dunque alle infezioni acute e croniche, principalmente del tratto respiratorio e del tratto gastrointestinale, nei due apparati inevitabilmente più esposti all’ambiente esterno ed ai microrganismi.
Nei casi più comuni la terapia è sostitutiva ed è salvavita. È questo il caso dei moltissimi pazienti affetti da immunodeficienza comune variabile, primitive e secondarie. In questi malati si cerca di sostituire gli anticorpi che il paziente produce, grazie all’utilizzo di preparati ricchi di anticorpi ottenuti da donatori. Nei casi di gravissima immunodeficienza l’unica terapia è il trapianto del midollo e/o la terapia genica.
Il professor Agostini è convinto che a volte basta davvero poco per giungere ad una corretta diagnosi dei fattori invalidanti di un paziente che presenta una sintomatologia che potrebbe indurre al sospetto di una malattia genetica e rara: «Basterebbe un esame del profilo proteico del costo di appena cinque euro per pianificare una eventuale terapia di contrasto». Ed infatti per anni la terapia con immunoglobuline consente al paziente una vita quasi normale. Da circa dieci anni, invece, esiste anche la possibilità di una terapia con immunoglobuline sottocutanee, che offre al paziente il vantaggio (dopo un adeguato training) di effettuare da solo una infusione di immunoglobulina evitando la somministrazione in un ambiente protetto ospedaliero. La nuova frontiera è rappresentata dalla terapia con immunoglobuline sottocute facilitata, tramite l’utilizzo concomitante di un enzima: la ialunoridasi, in grado di diffondere rapidamente le immunoglobuline nel tessuto sottocutaneo. Con questo preparato è possibile rarefare il ritmo delle infusioni che possono essere somministrate non più settimanalmente ma ogni tre settimane, il tutto con un vantaggio in termini di qualità della vita del paziente.
Associazionismo e malattie rare
Dal 1991 esiste l’Associazione Aip http://www.aip-it.org l’Associazione delle immunodeficienze primitive, alla quale fa capo anche Andrea Gressani, nel ruolo di vice-presidente. È di fatto l’associazione dei pazienti di malattie rare che ha come scopo fondamentale quello di diffondere la corretta informazione ai pazienti sulle patologie e sulle cure da eseguire, ma soprattutto porsi come strumento per rapportarsi correttamente ed efficacemente con le istituzioni.
In 25 anni di attività l’Api ha ottenuto molti risultati, al punto che in Italia esistono ben 63 Centri di cura che pone il nostro Paese in una posizione di eccellenza a livello mondiale, per quanto riguarda la storia delle immunodeficienze cognitive.
Il rovescio della medaglia ha il volto di un sistema sanitario sempre più associato ad una politica miope e disorganizzata che non si preoccupa di tutelare quei pazienti ai quali, beffardamente, non viene riconosciuta nessuna indennità proprio per il mancato riconoscimento di «malattia rara» che spesso costringe molti lavoratori in terapia, ad usufruire delle proprie ferie pur di sottoporsi alla cure mediche e agli screening di routine per il monitoraggio della malattia.
L’Aip su territorio italiano dispone di nove gruppi locali (Brescia, Milano, Padova, Roma, Torino, Firenze, Udine, Verona e Bari) e di altri tre (Genova, Bologna e Napoli) prossimamente in via di costituzione.
Massimo Manfregola
18/2/2016
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