Vertice della Nato a Roma per i nuovi orizzonti della guerra ibrida e la minaccia russa
ROMA – Si è concluso ieri il primo dei due giorni del summit della Nato dal titolo “New Ways of Warfare: Defeating the Hybrid Threat” in programma a Roma presso la scuola militare internazionale “Nato Defense College” della Cecchignola. Tema centrale del vertice dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico è la “Hybrid wars“, ossia le nuove forme di guerra negli scenari geopolitici internazionali.
Sulla scia della “Wales Summit Declaration” scaturita dalla riunione del Consiglio Nord Atlantico tenutasi nel settembre del 2014 a Cardiff, cittadina del Galles, in relazione alla tematica della “hybrid threat” (minaccia ibrida), i Paesi della Nato non hanno ancora una visione d’insieme in un contesto globale in cui i conflitti si moltiplicano e le minacce dal Mediterraneo rischiano di far barcollare quelle certezze che fino a poco tempo fa sembravano definitivamente acquisite.
Più che ogni altra tensione sono le azioni aggressive della Russia contro l’Ucraina a mettere a dura prova la visione di un’Europa integra, libera e pacificata da parte dei vertici Nato. La percezione ricevuta è che persino la minaccia delll’Isis appare ridimensionata rispetto alla guerra ibrida messa in atto dalla Russia sul versante orientale dell’Europa. Dalla caduta del muro di Berlino, 26 anni fa, non si era mai percepita una situazione così tesa fra l’Alleanza e il Cremlino, che adesso chiede una rinnovata attenzione per la difesa collettiva e una rassicurazione da parte dei nuovi Stati membri dell’est Europa, pronti a discutere sull’importanza della guerra informatica nell’ambito delle strategie ibride.
Parlare di una nuova “guerra fredda” fra i Paesi della Nato e Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa, sarebbe fuori luogo; anche perchè gli equilibri strategici sono molto mutati rispetto ai tempi della “cortina di ferro” e del Patto di Varsavia, quando una virgola messa al posto sbagliato faceva vibrare gli arsenali militari delle due superpotenze mondiali.
Ma la Nato sembra volersi riappropriare del suo antico ruolo che contrappone alla diplomazia e alle relazioni internazionali anche la difesa militare nell’ambito di teatri di guerra che l’hanno vista impegnata dall’ex Jugoslavia all’Iraq, dall’afghanistan al Sudan. Un ruolo complesso e al tempo stesso delicato se pensiamo che oggi molti dei Paesi che una volta appartenevano al blocco sovietico fanno ora parte della Nato, costretta a difernderli anche nel caso in cui l’aggressione dovesse arrivare dalla Russia. Una reazione, quella dell’Alleanza, che dovrebbe fare i conti con la effettiva volontà di coesione dei partner che hanno giurato sul famoso articolo 5 del Trattato, e che obbliga tutti i 28 Paesi che aderiscono alla Nato a far quadrato attorno ad uno Stato membro minacciato di guerra e occupazione.
Esiste dunque l’esigenza di “rinnovarsi” ma è altrettanto vero che urge una identità europea più marcata di fronte alle responsabilità politiche degli stati comunitari. Perché dalla prima giornata del convegno della “Nato Defense College” di Roma, riservata ai membri Senior Course, della comunità diplomatica locale e dei media, è emerso che la capacità degli alleati di comprendere e rispondere efficacemente a questo nuovo tipo di guerra caratterizzato da elementi regolari, irregolari e criminali in uno spazio reale e virtuale, sarà essenziale per la salvaguardia della pace e della sicurezza dell’area Euro-Atlantica nel XXI secolo.
Nell’ambito del nutrito programma della giornata, il pomeriggio di ieri è stato dedicato alla questione dell’intero Medio Oriente e all’area del Nord Africa che continua ad essere sotto pressione per le conseguenze di quelli che sono stati i primi focolai di rivolte e sommosse della Primavera araba, che ha interessato Libia, Siria, Tunisia, Egitto, Algeria, Iraq, Giordania, Yemen, Bahrein e il Gibuti. L’avanzata dell’Isis, come nuova minaccia nei deserti della Siria e dell’Iraq, ha dato una nuova dimensione ai problemi già esistenti sul territorio oltre ad incrementare il flusso migratorio dall’Africa al sud Europa, con le conseguenze e le tragedie registrate quotidianamente dagli sbarchi sulle coste italiane.
Nella fitta e qualificata agenda dei relatori una particolare attenzione è andata a Jamie Shea, vice Segretario generale aggiunto per emergenti sfide alla sicurezza presso la sede della Nato a Bruxelles, con alle spalle una carriera trentennale prestigiosa e ricchissima di incarichi diplomatici di primissimo livello; e al professor Jiulian Lindley-French, membro dello Strategic Advisory Group dell’Atlantic Council degli Stati Uniti, dello Strategic Advisory Panel del Generale del Capo di Stato Maggiore della Difesa britannico, nonché dell’Academic Advisory Board del Nato Defense College a Roma.
Il lavori presso il “Nato Defense College” proseguiranno per tutta la giornata fino alle 17.30, con la partecipazione riservata ai membri della Nato.
Massimo Manfregola
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