È emergenza ghiacciai sul Pianeta ma l’innalzamento termico ha una sua ciclicità
TRENTO – Quindici metri all’anno. È il dato secco, inesorabile, di quanto i ghiacciai trentini stiano regredendo. L’innalzamento della temperatura globale sul Pianeta ha i suoi effetti sulla natura, e le ricadute sul piano del mutamento geologico e sull’approvvigionamento delle risorse idriche possono a breve diventare un serio problema di cui preoccuparsi.
Guai a lasciarsi ingannare dalle generose nevicate di questa stagione invernale, perché l’arretramento dei ghiacciai è un fenomeno ormai storico con l’approssimarsi dell’estate, quando l’innalzamento della temperatura innesca quello che in gergo scientifico viene chiamata “ablazione”, ossia la perdita di ghiaccio per fusione, dopo una precedente dilatazione della sua consistenza.
Il «global warming», quella sorta di mostro che sembra sia generato dall’industrializzazione mondiale del XX secolo per le crescenti quantità di gas serra nell’atmosfera, minaccia l’ecosistema del Pianeta. Ad esempio, lo scioglimento dei ghiacci ai Poli è anche un motivo di allarme per le conseguenze sul cambiamento climatico che influenza l’intero sistema della vita a livello planetario. Secondo le ultime stime, solo dal 1987 ad oggi, sarebbe sparita una porzione di ghiacciai pari alla metà dell’estensione degli Stati Uniti d’America.
Nella Roma Imperiale lo stesso clima di oggi
Sebbene la maggioranza della comunità scientifica internazionale associ il riscaldamento globale alle attività antropiche legate all’uomo, alcuni studi hanno stabilito che l’innalzamento della temperatura media sul nostro pianeta, nel corso dei secoli e dei millenni, ha avuto un andamento che è possibile definire ciclico. Dalla osservazione dei sedimenti fossili effettuata in prossimità del Golfo di Taranto nel Mare Adriatico, di cui la pubblicazione dalla équipe di scienziati dell’Università di Brema (LiangChen, Karin A.F.Zonneveld e Gerard J.M.Versteegh) sulla rivista scientifica internazionale «Quaternary Science Reviews», gli autori hanno ricostruito le condizioni climatiche ed ambientali dell’area nel periodo Romano Classico (tra il 60 a.C. ed il 200 d.C.) e accertato che la temperatura dell’aria e quella della superficie marina dell’Italia meridionale non erano molto diverse rispetto a quelle attuali, se non addirittura superiori. Un risultato, convalidato da uno studio condotto nel 2005 sulle stalagmiti delle Alpi sud-orientali, precisamente quelle presenti nella Grotta Savi, sulle pendici del Monte Stena, nella riserva naturale della val Rosandra.
Anche se l’innalzamento della temperatura media dell’ultimo millennio ha registrato nel 2015 il suo picco massimo, l’elaborazione dei dati storici e scientifici, hanno appurato che dal 950 fino a circa il 1250 del Basso Medioevo, la temperatura media era più alta (almeno in determinate regioni) rispetto ai picchi decisamente più bassi registrati fra il 1600 e 1700 del XVIII secolo. Durante questo periodo, i mari liberi dai ghiacci permisero ai Vichinghi di colonizzare la Groenlandia. Escludendo a priori la presenza di CO2 antropogenica, quale causa scatenante dell’innalzamento termico di quel periodo storico, sarà compito della scienza indagare su questo aspetto, oggetto tuttora di approfonditi studi da parte della comunità scientifica internazionale.
Solo a partire dal 1850 la temperatura media sulla Terra sarebbe nuovamente cresciuta fino ai livelli attuali. La ricostruzione di una mappa globale sul cambiamento termico terrestre è stata possibile attraverso una sorta di viaggio a ritroso nel tempo, grazie allo studio degli anelli di crescita degli alberi, delle stratificazioni dei ghiacciai e dalla composizione dei coralli.
Le teorie sull’era glaciale
Se è vero che le masse d’aria fra Polo ed Equatore sono responsabili del nostro clima, è probabile che gli ultimi mutamenti climatici globali legati al riscaldamento terrestre, siano cominciati ad evidenziarsi quando l’alpinista e glaciologo svizzero Louis Agassiz, decise di cominciare il suo studio sulla formulazione della teoria sull’era glaciale, con la pubblicazione dei due volumi «Etudes sur les glaciers», frutto delle esperienze scientifiche maturate nell’osservazione delle morene nei pressi alcuni laghi delle Alpi svizzere.
Secondo Agassiz, che oltre che glaciologo fu un importante paleontologo ed esperto di ittologia fossile, asseriva che un tempo le calotte ghiacciate si estendevano dal Polo Nord fino a ricoprire tutta l’Europa e buona parte del Nord America. Lo studio dei cordoni morenici delle Alpi, attestano che un tempo la Svizzera era come un’altra Groenlandia, e che un enorme e unico blocco ghiacciato si sarebbe esteso fino ad occupare intere vallate della zona nord-occidentale.
Il progetto «Pollice» sull’Adamello
Un quadro molto diverso, e spesso antitetico, rispetto a quello che i glaciologhi dei nostri giorni si trovano di fronte nel corso delle loro rilevazioni. «La perdita media di ghiaccio in Trentino, per quanto riguarda la sua estensione, è di 15 metri all’anno, mentre l’assottigliamento del suo spessore, almeno nelle quote più basse, può avere incidenze anche di 4 metri». È lo stato di salute dei nostri ghiacciai rispetto agli ultimi dati in possesso a Christian Casarotto, il glaciologo del Muse di Trento, il Museo delle Scienze, che è parte attiva della équipe di ricercatori che lavorano al progetto «Pollice», che vede come capofila la Fondazione Mach, per lo studio dei carotaggi di ghiaccio del Mandrone nel parco dell’Adamello-Brenta, con l’obiettivo di analizzare il Dna dei pollini delle componenti vegetali intrappolati e conservati nel ghiaccio.
«L’obiettivo dei nostri studi sul ghiacciaio dell’Adamello – sostiene Christian Casarotto – è quello di poter “leggere” quella che possiamo definire la stratigrafia stagionale dei pollini che si accumulano nel periodo primaverile, estivo ed autunnale e la loro variazione nel tempo per comprendere le variazioni climatiche avvenute».
Se l’importanza energetica dei ghiacciai riverbera importanti ripercussioni anche sull’impatto ambientale e paesaggistico, è fondamentale approfondire e studiare ogni parametro utile a descrivere una mappatura antropica dell’intera area d’interesse naturalistico. Focus delle ricerche sono le ricostruzioni paleoclimatiche, vale a dire in che modo l’ambiente risponde alle variazioni del clima: «abbiamo verificato che – continua Casarotto – nell’arco di un trentennio, in uno spazio temporale fra il 1960/90, l’incremento medio della temperatura ad un’altitudine di 200 metri sul livello del mare, di una cittadina come Trento, ha un valore pari a 0,6/0,7 gradi; mentre per una quota maggiore ai 1.000 metri di quota è 0,8/09. I valori sono molto più importanti e sorprendenti, pari all’1,3/1,4 gradi, per quanto concerne, invece, l’incremento a 2.500 metri di quota». Una constatazione che ipotizza uno spostamento dello zero termico a quote sempre più alte verso la stratosfera.
Una missione straordinaria quella del progetto «Pollice» nato nel 2014, anche con la collaborazione dell’Università Bicocca e di altre organizzazioni impegnate nella Ricerca scientifica, che hanno scelto il ghiacciaio dell’Adamello, il più esteso d’Italia, con i suoi 17 chilometri quadrati, adagiato placidamente a 3.200 metri di altitudine. Il sito di perforazione si trova a 3.200 metri di altitudine, nella parte centrale di un’area glaciale (Pian di Neve), dove si ritiene che la stratificazione del ghiaccio sia meglio conservata.
Ne parla con grande soddisfazione Christian Casarotto, studioso del Muse, che descrivere le fasi dell’estrazione delle carote che conservano una porzione delle stratificazioni stagionali dell’evolversi dei tempi: «Quella dei carotaggi è una operazione complessa, e non solo nella organizzazione logistica. Le perforazioni con una speciale trivella bisogna effettuarle di notte, quando le temperature sono più basse, utilizzando un movimento lento, efficace e continuo, anche per non rischiare di far congelare la trivella nel ghiaccio e quindi bloccare la sonda negli anfratti più gelidi e profondi del sito ghiacciato. L’ultimo carotaggio, condotto lo scorso anno, ha raggiunto la profondità di 54 metri. Nel prossimo, in programma nel febbraio 2019, l’obiettivo prefissato è quello di raggiungere la roccia alla base del ghiacciaio, che si trova a circa 270 metri di profondità, una condizione che attesta che il ghiacciaio dell’Adamello è il più profondo fra quelli italiani».
Grazie alla conservazione delle carote di ghiaccio in speciali laboratori sotterranei di «EuroCold» del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio e di Scienze della Terra dell’Università Milano-Bicocca, oltre alla componente vegetale, sarà possibile ampliare lo studio alla componente animale, ai batteri e ai funghi, grazie alla stratificazione della neve che consentirà agli scienziati di disporre di una «finestra temporale» che potrà essere esplorata a ritroso nel tempo fino ad un range di circa 1000 anni.
Cinquanta progetti scientifici per la campagna estiva in Antartide
La ricerca, per quanto riguarda lo studio dei ghiacciai, considerati come un prezioso scrigno per la comunità scientifica internazionale, non si limita allo studio delle distese di nevi permanenti del nostro continente europeo. Nel febbraio scorso si sono concluse in Antartide, presso la stazione antartica Mario Zucchelli di Baia Terra Nova, le attività della XXXIII Campagna estiva 2017-2018 del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra) finanziata dal Miur con il coordinamento scientifico del Cnr e logistico dell’Enea e la partecipazione delle Forze Armate.
Sono stati più di cinquanta i progetti scientifici portati a termine dalla spedizione italiana, grazie alla quale è stato possibile conseguire significativi risultati nei campi della fisica dell’atmosfera, biologia, glaciologia, geologia e in svariati altri ambiti per cui i gruppi di numerose università e centri di ricerca italiani hanno sviluppato i loro studi. Altrettanto importanti sono state le attività di natura logistica, di manutenzione delle strutture e di preparazione e mantenimento delle stazioni di atterraggio intermedie per i voli verso la base di Concordia e di Dumont D’Urville.
Massimo Manfregola – giornalista
8/3/2018
Credits: Christian Casarotto, SMD, Quaternary Science Reviews
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