La banca e il ghetto, due invenzioni italiane, sono il tema dell’ultimo lavoro letterario di Giacomo Todeschini
ROMA – Ancora fresco di stampa è arrivato sugli scaffali delle librerie l’ultima opera letteraria di Giacomo Todeschini, dal titolo «La banca e il ghetto», edito da Laterza. Docente di storia medievale all’Università di Trieste, lo scrittore mette in relazione la nascita delle banche nel periodo fra il Medioevo e il Rinascimento, come strumento di controllo del potere da parte delle oligarchie cristiane più potenti dell’epoca, rappresentate da famiglie ricche ed influenti come quella degli Sforza, dei Gonzaga o dei Medici.
Le società mercantili medievali avevano bisogno di grandi quantità di denaro, e il mercante di fronte ad un affare, lecito o illecito, che comunque gli consentisse di guadagnare molto denaro, non esitava a ricorrere all’opera dei «prestatori di denaro ad interesse», attività economica speculativa considerata dannata e completamente in mano alle comunità ebraiche.
Da una parte dunque le banche e dall’altra quella dei ghetti, autentiche città nelle città, discriminate ed emarginate di fronte ad una pratica considerata «impura» e spietata. Il primo ghetto a Venezia venne fondato nel 1516. Due invenzioni italiane e complementari quella delle banche e quella dei ghetti, in coincidenza con la nascita di nuovi modelli finanziari dell’epoca.
Un libro di 240 pagine (22 euro) che traccia un percorso parallelo fra potere e denaro, dove l’unica discriminante è la delegittimazione netta e progressiva della presenza ebraica in Italia.
Massimo Manfregola
5/2/2016
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