Erdogan contro i curdi recluta i tagliagole dell’Isis
ROMA – Da più parti qualcuno aveva creduto che in questi anni la Turchia, con la scusa di combattare il Califfato, attacava i curdi. Anche se ufficialmente l’offensiva militare di questi giorni decisa da Recep Tayyip Erdogan a nord della Siria, sarebbe limitata a contrastare l’invasione dei terroristi curdi e respingere almeno la metà dei rifugiati che attualmente sono in terra turca.
Scoppia quindi la guerra turca contro la provincia curda di Rojava in Siria. L’artiglieria di Ankara, supportata dalle milizie dell’esercito nazionale siriano, ha già cominciato a colpire duramente alcuni obiettivi strategici curdi nella zona di al-Malikiyah e sotto il fuoco nemico sarebbero finiti numerosi guerriglieri della dell’Unità di Protezione del Popolo (Ypg) curdo. Numerose le vittime civili, come nell’esplosione di un’autobomba nella città curda di Qamishli, nel nord-est della Siria. Sarebbero più di 300 i morti fino ad ora registrati. Un conflitto che si nutre anche di una spinta nazionalistica turca molto forte nei confronti dei curdi, con tensioni storiche che affondano le radici di un contrasto mai risolto, sin dal XIX secolo, ai tempi dell’Impero ottomano, che già all’epoca aveva imposto forti limitazioni all’autonomia dei curdi.
Le contraddizioni Usa
Ha fatto discutere il timido comportamento di Donald Trump, che in un primo tempo aveva preso le distanze sull’offensiva turca nel nord della Siria, per poi annunciare l’invio di circa 2.000 uomini che dovranno contenere e risolvere il conflitto assieme alle altre forze della Nato.
Mentre la deputata repubblicana al Congresso Usa, Liz Cheney, è pronta a presentare nei prossimi giorni una legge che impone sanzioni alla Turchia per l’attacco alle milizie curde, a Bruxelles si registra un silenzio tombale, che appesantisce le criticità di una Unione Europea sempre più inadeguata nel prendere posizioni in un contesto in cui viene lasciata ad Erdogan la libertà di minacciare gli stati europei se questi continueranno a metter il becco nelle sue questioni politiche, in palese conflitto con la Carta delle Nazioni Unite, che mette in allarme anche la Lega Araba, riunitasi al Cairo per discutere delle eventuali misure preventive contro una probabile escalaton del conflitto Turco-siriano.
Il pericolo jihadista
A preoccupare i paesi arabi e soprattutto l’Europa sono le minacce di Erdogan, in particolare quelle di riaprire le carceri turche e di rimettere in libertà migliaia di pericolosi estremisti islamici oltre che costringere alla fuga una marea di migranti siriani. E proprio in Siria nella città di Hassake, è stata fatta esplodere un’auto imbottita di tritolo, proprio davanti alle mura del carcere dove sono detenuti i più pericolosi jihadisti che adesso sono in rivolta e potrebbero ricomporsi per riconquistare un potere spietato e criminale, approfittando delle condizioni favorevoli per cui i loro nemici giurati sono ora nel mirino della furia stragista di Erdogan.
Esistono fondati motivi per credere che il sultano di Ankara si serva di molti miliziani del Califfato, catturati proprio dai curdi nel nord della Siria, per affiancare l’esercito turco. Infatti, da fonti dei servizi segreti, numerosi jihadisti avrebbero mostrato regolari timbri per l’ingresso e l’uscita dalla Turchia sui loro stessi passaporti, raccontando di essere stati assistiti direttamente dalle autorità turche.
L’apatia europeista
Un paradosso e una beffa, se consideriamo che in questi anni (a partire dal 2002) l’Unione europea a sborsato una pioggia di miliardi di euro per la Turchia di Erdogan, in cambio del blocco dei flussi migratori verso il vecchio continente. E altri ne dovrebbe versare a breve. La Ue, così come l’Onu, la Russia e l’Iran, hanno sì condannato questa operazione militare da parte di Ankara, anche se la dipolomazia non ha ancora preso misure concrete e decisive.
Mentre la Germania, attraverso il suo ministro degli Esteri Heiko Maas alla Bild am Sonntag, annuncia di bloccare la vendita di armi alla Turchia, non ci sono posizioni ben delineate della cancelleria tedesca sulla situazione in Turchia e, soprattutto, di contromisure nei confronti di Erdogan.
I peshmerga lasciati soli al loro destino
I Peshmerga, l’esercito armato curdo, che da anni combatte una guerra durissima per il riconoscimento dello stato indipendente del Kurdistan, è ora stretto fra l’esercito turco e quello dei miliziani jihadisti, cerca di resistere, seppure con l’esiguo numero di armi, agli attacchi sui due fronti armati.
Le loro qualità di coraggiosi e tenaci guerriglieri fa risalre alla discendenza curda anche il «feroce» Saladino, nato a Tikrit come Saddam Ussein, le cui gesta di «principe dei Cavalieri» conferirono a questo combattente una fama e un rispetto che varcò i confini dell’antico continente europeo.
Ma c’è anche un’altra particolarità che caratterizza i combattenti peshmerga. Quella di avere al loro interno, sin dall’inizio della loro storia, una nutrita componente femminile attivamente impegnata in prima linea. Tra i peshmerga che hanno fronteggiano le forze jihadiste dell’Isis, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, è infatti presente un intero reggimento femminile, composto da quattro battaglioni, comandato da un colonnello donna e di cui fanno parte oltre 500 tra soldatesse, sottoufficiali e ufficiali.
Intanto sarebbero 200mila gli sfollati nel nordest della Siria. I dati diffusi dalle Nazioni Unite parlano di oltre 100mila persone costrette a scappare dalla proprie abitazioni dall’inizio del conflitto. Dopo gli attacchi degli F16 dell’aviazione e quelli dell’artiglieria turca su obiettivi delle milizie Ypg, operazione battezzata beffardamente «fonte di pace», si registrano numerosi morti e feriti anche fra i civili e soprattutto fra i bambini. Ancora una sporca guerra dove a pagare sono sempre i più deboli.
Massimo Manfregola
13/10/2019
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