Olio extravergine, sono taroccate 8 confezioni su 10 Crollo della produzione in Italia
ROMA – L’olio extravergine d’oliva è in svendita nella grande distribuzione. Il suo valore di mercato sembra essere crollato ai minimi storici. Eppure la sua produzione, almeno in Italia, si è quasi dimezzata negli ultimi due anni. Il paradosso è allarmante. La denuncia viene dall’Unaprol, il Consorzio olivinicolo italiano, che oggi, in occasione di un convegno organizzato a Roma dall’Ordine nazionale dei giornalisti presso il comando del Nac (Nucleo antifrodi dei Carabinieri) ha snocciolato alcuni dati che obbligano ad una seria riflessione: lo scorso anno solo nel Lazio, sono stati venduti nel giro della Gdo, la grande distribuzione organizzata, circa 17 milioni di litri di olio extravergine d’oliva a fronte di un fatturato di 63 milioni di euro. Vale a dire che il prezzo medio registrato si è aggirato attorno ai 3,7 euro/litro ed il 71 per cento dell’olio extravergine è stato venduto in promozione.
Ma il “fenomeno” legato alla svendita dell’olio extravergine attraverso la grande distribuzione è una realtà diffusa in tutta Italia. E il problema nasconde spesso delle frodi che vengo perpetrate ai danni dei consumatori, sia per quanto riguarda il prodotto che la sua etichettatura. Da una recente statistica a campione, su dieci confezioni di olio acquistate nei supermercati, ben otto risultano difettati nella parte chimica e in quella organolettica.
Pietro Sandali, direttore generale dell’Unaprol, il più rappresentativo consorzio di olivicoltori italiano a livello europeo e mondiale con 190 mila imprese associate, pone la questione sulla urgenza di una regolarizzazione più restrittiva a livello normativo del mercato dell’olio extravergine in Italia, perché il rischio di avere sulla tavola un prodotto molto diverso da quello che si crede di acquistare è notevole e allo stesso tempo rischioso per molte aziende del settore: «Lo scorso anno la cattiva resa nella raccolta delle olive, ha messo in crisi tutto il comparto olivinicolo e molti frantoi non sono stati in grado di aprire i battenti. Dalle 450 mila tonnellate di olive si è passati ad una raccolta inferiore alle 300 mila tonnellate. Per questo abbiamo importato dall’estero 666 mila tonnellate di olive, con un saldo negativo pari a 151 milioni di euro. Complice le avverse condizioni climatiche e gli attacchi patogeni dovuti alla mosca olearia, la produzione nazionale ha subìto una severa contrazione». Ad aggarvare il problema c’è la mancanza di deterrenti legislativi nei confronti di quelle aziende senza scrupoli che speculano sull’intera filera agroalimentare come ci ricorda ancora Sandali dell’Unaprol: «Purtroppo siamo ancora molto lontani dall’essere chiari e trasparenti nei confronti del consumatore. Il problema deriva dal fatto che esistono una serie di difformità normative rispetto a paesi come l’America o il Nord Africa. Urge quindi rivedere la classificazione dell’olio extravergine e agìre con determinazione affinché sugli scaffali dei nostri supermercati ci possano essere prodotti conformi alle etichette con una tracciatura chiara e non ingannevole».
A causa di una disinvolta e generica regolamentazione del mercato europeo, l’Italia, paese che gode il primato europeo dei prodotti Dop, IgP e Stg, è quello che più di ogni altro è penalizzato per la mancanza di leggi che tutelino la qualità e la territorialità dei prodotti agroalimentari nazionali. Solo nel settore della olivicoltura l’Italia è presente con 43 marchi di orgine Dop. Ma tutto questo non è ancora sufficiente perché capita spesso che molte imprese straniere acquistino il brand di antiche e note aziende italiane come ad esempio Carapelli, Sasso o Bertolli, solo per sfruttare la notorietà del marchio senza per questo offrire un prodotto distillato con olive e procedimenti fedeli alla tradizione contadina italiana. Sono pochissime invece quelle aziende italiane nel vero senso del termine, come Barbera o Dante, che producono olio extravergine con la materia prima nazionale e seguendo tutte quelle procedure necessarie per la commercializzazione di un prodotto di qualità.
Ma è la contraffazione la vera mannaia per l’industria dell’olio Dop italiano. Capita sempre più spesso che molte aziende pubblicizzino attraverso il marchio italiano un prodotto che nella stragrande maggioranza dei casi non rispecchia per caratteristiche organolettiche e per qualità quello che viene definito olio extravergine d’oliva, il cui valore di acidità non deve superare la soglia dello zero e otto per cento. Il giro d’affari per quanto riguarda la contraffazione dei prodotti italiani è un fenomeno in piena crescita e di caratura internazionale, con un danno incalcolabile per l’immagine e per l’economia italiana. Oli venduti come extravergine di oliva si rivelano poi olii “lantanti”, vale a dire della stessa qualità e delle medesime caratteristiche di quelli usati per l’illuminazione.
Ecco allora che entra in campo l’Arma, con un nucleo speciale antifrode del Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari (Nac appunto), dislocato sul territorio nazionale nelle città di Parma, Roma e Salerno, con competenze territoriali molto allargate. L’Italia non è nuova alle frodi alimentari tanto che già nel 1958, nel pieno boom economico, scoppiò il caso denominato “L’Asino in Bottiglia“, una gigantesca truffa ai danni dell’olio d’oliva, per anni tenuta nascosta e insabbiata, per cui quasi il 90 per cento di tutto l’olio d’oliva commercializzato in Italia conteneva grassi di animali morti come cavalli, buoi, asini e montoni, grazie ad un processo di “esterificazione”: un metodo che consentiva di utilizzare per la produzione di olio commestibile anche gli scarti della spremitura.
Eppure ancora oggi molte sofisticazioni che inquinano l’alimento base della nostra cucina mediterranea, riguardano manipolazioni che hanno a che fare con la composizione chimica e di conseguenza con la genuinità del prodotto. Come la scoperta e la denuncia di 39 persone che, nel 2008, acquistavano olio di semi dagli Stati Uniti d’America a 80 centesimi di euro, e poi con una certa destrezza e abilità provvedevano a trasformarlo in olio extravergine di oliva aggiungendo clorofilla sintetica industriale per il colore e betacarotene per confondere il gusto. «Tutto questo ci fa capire che le frodi sono ancora presenti nel settore agroalimentare – spiega il maggiore dei carabinieri Riccardo Raggiotti, comandante del Nac di Roma – . Per quanto riguarda le truffe attorno al commercio dell’olio per uso alimentare non bisogna mai abbassare la guardia. Oggi, soprattutto quelle aziende che hanno mezzi a disposizione, possono disporre di laboratori chimici in grado di frodare il consumatore con una certa disinvoltura. Possiamo contare su un numero di 200 uomini addestrati per il “panel-test“, per classificare gli olii in commercio attraverso l’intensità dei difetti percepiti e del fruttato, grazie ad un gruppo di assaggiatori selezionati e ben preparati in grado di offrire un’attendibile valutazione organolettica del prodotto. Grazie alla legge Mongiello (“Salva Olio Italiano varata nel 2013” n.d.r.) – conclude il maggiore Raggiotti – contiamo di avere validi strumenti, come le intercettazioni telefoniche e quelle ambientali che assieme all’incrocio delle email aziendali, possono facilitarci il compito per reprimere e contenere certi reati».
L’Arma dei Carabinieri ha messo a disposizione anche un numero verde anticontraffazione per segnalare eventuali situazioni che meritano l’approfondimento delle autorità competenti: 800.020.230 oppure l’indirizzo email: ccpacdo@carabinieri.it
Massimo Manfregola
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