È stata definitivamente bonificata la polveriera sottomarina della ‘ndrangheta
REGGIO CALABRIA – Dopo anni di intenso lavoro si è finalmente conclusa la bonifica della «polveriera» sommersa della mafia calabrese. Per la ‘ndrangheta, che se ne serviva come al supermarket, è stata una riservetta per esplosivi a tutti gli effetti. Adagiata ad una profondità di 52 metri sul fondo del mare al largo delle coste calabresi di Montebello Jonico, nelle stive della «Laura Cosulich», più conosciuta come «Laura C», la nave mercantile affondata nel luglio del 1941 da un siluro di un sommergibile inglese mentre faceva rotta verso il continente africano per rifornire le truppe italiane in Libia, erano riposti oltre 700 tonnellate di panetti di esplosivo; parte dei quali furono trafugati dai criminali della ‘ndrangheta calabrese per «servire» anche la mafia siciliana che le utilizzò per le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, dove persero la vita i magistrati Falcone e Borsellino, assieme agli uomini delle loro scorte.
Era dal 1995 che le Forze di polizia, sotto le direttive della procura di Reggio Calabria, aveva provveduto ad ispezionare il relitto della vecchia nave mercantile dopo che il «pentito degli esplosivi» Pasquale Nucera, aveva offerto agli inquirenti quella che era la «rotta» giusta per rintracciare il «giacimento» di tritolo dal quale si rifornivano le cosche mafiose. Così, grazie ad un sopralluogo nei fondali delle acque del pontile di Saline Ioniche, i sommozzatori della polizia di Stato individuarono quella che poi i palombari dei Comsubin, del reparto speciale dei Gos (il gruppo operativo subacquei, artificieri e sminatori) della Marina Militare, definirono come una santabarbara del mare.
Dai prelievi di diversi campioni di esplosivo dalle stive della nave «Laura C» si stabilì che tracce dello stesso composto furono individuate anche sulle scene del crimine che seminarono terrore negli attentati di Roma, Milano e Firenze per mano di Cosa Nostra. Fu quella la prova del fatto che determinò il convincimento del pool di magistrati dell’antimafia sulla centralità della ‘ndrangheta nello scenario criminale nazionale e internazionale.
A seguito di questo ritrovamento, la Criminalpool arrestò Massimo Costarella, nipote acquisito del boss Natale Iamonte, deceduto nel febbraio di quest’anno dopo una condanna di 21 anni sotto il regime di 41bis, perchè ritenuto il «custode» del deposito di esplosivo sottomarino.
Nel corso della prima bonifica si puntò a riempire le stive con colate di cemento armato che però non chiusero definitivamente le vie di accesso al relitto. Le operazioni di messa in sicurezza del mercantile si sono protratte per diversi anni, grazie ai Comsubin della Marina Militare in collaborazione con le unità navali della Sezione controllo delle coste della Polizia e della Guardia costiera di Reggio Calabria, che hanno permesso di riportare a galla ben 121 panetti, del peso di circa 200 grammi ciascuno. I panetti di esplosivo sono contraddistinti da un foro centrale circolare di predisposizione per l’eventuale innesco, con impresso ancora il nome della società che li ha prodotti. Naturalmente si parla di materiale bellico che, spiegano gli esperti, in grado di mantenere uno straordinario stato di conservazione anche a contatto con l’acqua.
Solo ieri il prefetto di Reggio Calabria, Claudio Sammartino, assieme al procuratore della Repubblica, titolare della direzione distrettuale Antimafia, Federico Cafiero de Raho, al capo del Comando marittimo sud, ammiraglio Eduardo Serra e al capitano di corvetta Terry Trevisan, ha ufficialmente diramato la notizia sulla chiusura delle operazioni di bonifica della «Laura C», che hanno visto impegnati per tutto il mese di settembre e ottobre i palombari dei reparti speciali della Marina Militare per rimuovere tutto il materiale esplosivo contenuto nelle stive della nave e garantire la sicurezza del relitto, anche se permangono nella zona l’interdizione all’immersione e un’attività di vigilanza e pattugliamento dello specchio acqueo, con il supporto della Guardia costiera.
La «Laura C», lunga 150 metri per 20 mila tonnellate di stazza, apparteneva alla societaà di navigazione «Italia» con sede a Genova. Venne affondata il 3 luglio del 1941 dal sommergibile inglese «Upholder», mentre era diretta a Tripoli, ma della sua distruzione si ebbe notizia nei registri navali solo due anni dopo. Dalla lettura dei suoi registri navali doveva trasportare un quantitativo di 5 mila tonnellate di merci varie, tra cui stoffe, liquori e macchine utensili.
Il Comandante dell’epoca prima che la nave si inabissasse girò verso la costa la prua che, ancora oggi, appare infossata nel fondo, lasciando scoperta la poppa, dove invece sta il carico di tritolo, sistemato in tre stive separate da paratie.
Solo a cavallo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 si pose il problema del suo carico, ancora però sottovalutato, almeno fino agli inizi degli anni ’90. Solo tra il 1994 e il 1995 fu accertata la presenza di tritolo nelle stive della nave, procedendo ad un primo prelievo per l’analisi del suo contenuto.
Massimo Manfregola
27/11/2015
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