La tradizione e l’arte napoletana nei presepi di Giman, artista poliedrico e miniaturista
ROMA – Dalle miniature dipinte nei gusci di ostriche alla scenografia sacra della Natività nell’arte dedicata al presepe napoletano, il passo è breve per Giovanni Manfregola, in arte Giman. Miniaturista partenopeo, assieme alla passione per l’arte e la pittura e ai profumi del Golfo, sin da ragazzo ha conservato e alimentato la tradizione di famiglia per la costruzione del presepe napolentano; rappresentazione artistica della nascita di Gesù, nell’ambientazione classica che si è rinnovata a partire dalla Napoli del Settecento.
«Sono oltre 300 i presepi napoletani che ho realizzato fino ad ora – ci spiega Giman, mostrando orgoglioso la sua ultima creazione -. Il presepe napoletano riflette una tradizione secolare nella cultura partenopea, al punto che anche il grande Eduardo de Filippo, in “Natale in casa Cupiello“, una delle più famose commedie interpretate dall’universale artista napoletano, è la pietra miliare di una sceneggiatura che diventerà il punto di partenza e il percorso artistico della Compagnia del Teatro Umoristico dei De Filippo. Perché il presepe napoletano è la metafora della vita: proprio come avviene sul palcoscenico di un teatro, incarna tutti quelli che sono gli umori e la tradizione storica e culturale di Napoli; degli anfratti più caratteristici della Città; della quotidianità di una popolazione che vive e sopravvive in una perenne e sacra conflittualità». Il mio approccio al presepe è lo stesso che può avere un padre con il proprio figlio, o del nonno con il suo nipote, per tramandare tutto quello che è il bagaglio culturale di una tradizione che è parte integrante della nostra cultura partenopea».
Nella ricostruzione napoletana del presepe è come se ognuno avesse un ruolo nella partecipazione al Sacro evento. La tradizione popolare diventa parte integrante di un’attesa vissuta in simbiosi con la semplicità della Natività rappresentata nella più totale sobrietà, senza sfarzi né clamori. La ricostruzione scenica del presepe napoletano è l’esaltazione romantica della semplicità, e di una povertà dignitosa e produttiva. La bottega artigiana invece che l’osteria sono i simboli di una vita semplice e operosa, come la natura di Gesù.
Anche nell’architettura del presepe di Giman, la mangiatoia con il bue e l’asinello, luogo sacro della Natività, rappresenta la centralità di tutto l’insieme di elementi scenografici. Mentre la particolarità che contraddistingue le opere del maestro napoletano, così come nella fedele tradizione presepiale napoletana del 1700, è la taverna del ristoratore, dove la pizza e il forno sono gli elementi caratterizzanti della scena. Ogni dettaglio, anche il più piccolo è la ricostruzione fedele di una tradizione che crea atmosfere colorate, come la ‘nzerta di pomodori, il particolare sistema usato dai contadini del sud-Italia per conservare i pomodori di settembre appendendoli a un filo, formando come una ricca collana. Piccole opere d’arte dove tutto, in una sublime miniatura di luci e colori, ci riporta indietro nel tempo, in una raccolta di dettagli che fanno del presepe un’opera unica nel suo genere.
LE ORIGINI DEL PRESEPE NAPOLETANO
Il primo presepio a Napoli viene menzionato in un documento che parla di un presepe nella Chiesa di S. Maria del Presepe nel 1025 mentre, secondo varie fonti, ad Amalfi esisteva già una cappella del presepe di casa ad Alagni. Nel 1340, la regina Sancia d’Aragona, moglie di Roberto d’Angiò, regalò alle Clarisse un presepe per la loro nuova chiesa, di cui oggi è rimasta la statua della Madonna nel museo di San Martino. Altri esempi risalgono al 1478, con un presepe di Pietro e Giovanni Alemanno, di cui ci sono giunte 12 statue; e il presepe di marmo del 1475 di Antonio Rossellino, visibile a Sant’Anna dei Lombardi.
Nel XV si hanno i primi veri scultori di figure. Tra questi, i fratelli Giovanni e Pietro Alemanno che, nel 1470, crearono le sculture lignee per la rappresentazione della Natività. Nel 1507 il lombardo Pietro Belverte scolpì a Napoli 28 statue per i frati della Chiesa di San Domenico Maggiore e per la prima volta il presepe venne ambientato in una grotta di pietre vere, forse provenienti dalla Palestina, arricchito con una taverna. Fu probabilmente Domenico Impicciati, nel 1532, a realizzare per primo delle statuine in terracotta ad uso privato e uno dei personaggi prese il nome del committente, il nobile di Sorrento Mattia Mastrogiudice, della corte aragonese. Nel 1534 a Napoli arrivò San Gaetano da Thiene e si deve a lui la costruzione di un apprezzato presepe nell’Ospedale degli Incurabili. Il presepio barocco si costruisce, invece, grazie ai sacerdoti scolopi, nel primo ventennio del Seicento, con le statuine sostituite da manichini snodabili di legno, rivestiti di stoffe o di abiti. I primi erano a grandezza umana per poi ridursi attorno ai 60 cm.
Furono gli scolopi a realizzare alla Duchessa il presepio più famoso, nel 1627. La Chiesa degli scolopi lo smontava ogni anno, rimontandolo al Natale successivo e, dato che fino ad allora i presepi erano fissi, questo rappresentò un’innovazione. Nel 1640, grazie a Michele Perrone, i manichini, pur conservando testa ed arti in legno, furono realizzati con un’anima in filo di ferro rivestito di stoppa per conferire alle statue pose più plastiche. Ma fu dalla fine del Seicento in poi che il presepio napoletano acquisì la sua tipica teatralità, mescolando sacro e profano per rappresentare, in ogni arte, la quotidianità che animava piazzette, vie e vicoli. Apparvero i nani, le donne con il gozzo, i pezzenti, i ciabattini, gli uomini e i derelitti tra cui Gesù nasce. Il presepe napoletano appariva, allora, come uno squarcio della Napoli del 700’, con i costumi, le attività, i volti di quell’epoca. Ad uno sguardo più attento, invece, si potevano individuare gruppi ben definiti: i protagonisti dell’Annuncio, poveri pastori raggiunti dal messaggio divino della nascita del Redentore (il pastore che soffia il fuoco, quello con la caprettina in mano, il pastore che dorme, il pastore della meraviglia e quello dell’adorazione, lo zampognaro che suona e quello delle offerte). Accanto ai pastori, il Mondo; per cui ecco comparire gli esotici Re Magi in cammino per rendere omaggio al Redentore. Essi, di diverse razze ed età, portano diversi simbolici doni al Bambino.
Il loro corteo si compone di servi, donne, palafrenieri, cavalli, cammelli ed elefanti, in cui riecheggia il ricordo dell’epica visita degli ambasciatori tunisini a Napoli agli inizi del 600’, immortalati anche dai pennelli del Bonito. Poco più in là, il Diversorium, l’albergo , sino ai banchi in cui sono messi in bella mostra formaggi e latticini di tutti i tipi, tante varietà di pane, le freselle, i casatielli, i fiaschi di vino d’Ischia e Grieco, i tortani, gli agnelli squartati e pelati, i quarti di maiale e di bue. Proseguendo, le anatre uccise e appese, il castrato, i conigli, le frattaglie, il pesce, gli arancini, gli struffoli, i cavolfiori, l’uva bianca, l’uva nera. Tutto questo ben di Dio, era esposto sotto gli occhi di massaie, zingare che leggevano le mani tra i banchi, giocatori di carte e di dadi, avventori della taverna e cortei di cani, gatti, colombi, ma anche leoni, scimmiette e pavoni.
In questa vivacissima e colorata folla, il Praesepium, le rovine di un antico tempio, omaggio a Pompei e a Paestum appena ritrovate e al gusto per le antichità classiche che allora conquistava i ceti alti, ma anche il simbolo di un Paganesimo ormai in rovina. Fu Giuseppe Sanmartino, forse il più grande scultore napoletano del Settecento, abilissimo a plasmare figure in terracotta, a dare inizio ad una vera scuola di artisti del presepio. Goethe, ad esempio, descrive il presepe italiano nel suo viaggio in Italia del 1787: «Ecco il momento di accennare ad un altro svago che è caratteristico dei napoletani, il Presepe (…). Si costruisce un leggero palchetto a forma di capanna, tutto adorno di alberi e di alberelli sempre verdi; e lì ci si mette la Madonna, il Bambino Gesù e tutti i personaggi, compresi quelli che si librano in aria, sontuosamente vestiti per la festa (…). Ma ciò che conferisce a tutto lo spettacolo una nota di grazia incomparabile è lo sfondo, in cui s’incornicia il Vesuvio coi suoi dintorni».
IL PRESEPE CUCINIELLO ESPOSTO AL MUSEO NAZIONALE DI SAN MARTINO A NAPOLI
Gli appassionati di quest’arte così unica e radicata nella cultura napoletana, non possono sfuggire ad una visita al museo nazionale di San Martino di Napoli, che fu aperto al pubblico nel 1866 all’indomani dell’Unità d’Italia, e dove è possibile ammirare il presepe più completo e universalmente noto come il presepe Cuciniello, dal nome del donatore che nel 1879 regalò al museo la sua monumentale raccolta di pastori, animali, agnelli, nature morte. Il presepe fu esposto in una scenografica grotta appositamente costruita. Sono presenti poi altri gruppi presepiali, con alcuni di questi particolarmente piccoli relativi alle tre scene fondamentali della Natività, dell’Annunciazione ai pastori e dell’Osteria, e conservati nei loro originali contenitori: gli scarabattoli.
Massimo Manfregola
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